Andare a ristorante, lasciar ordinare l’amica habituè e vedersi arrivare qualcosa di molto simile proprio a quella ricetta che avevi velocemente scorso qualche giorno prima in un antico libro di cucina ligure e che ti aveva colpito.
Questo mi è capitato l’estate scorsa, a cena nel piccolo ristorante di uno stabilimento balneare a Bogliasco – peraltro posto stupendo: tavoli sulla spiaggia, scroscio di onde in sottofondo, piedi nudi sulla sabbia.
Con sorpresa mi sono vista arrivare un piatto fumante di “spaghetti al ragù di muscoli” e mi è venuta subito in mente quella ricetta della “Salsa di telline, arselle o ostriche” che Padre Gaspare Dellepiane racconta nel suo celeberrimo libro “La cucina di strettissimo Magro”.
[Nota per i non Liguri: qui in Liguria le cozze si chiamano muscoli. Non è una parola dialettale ma un termine italiano antico (derivante dal latino musculos, riferito ai mitili in generale) caduto in disuso dagli inizi del Novecento a favore del termine cozze di origine meridionale. Io ovviamente parlerò di muscoli, voi leggete cozze].
La ricetta mi era rimasta impressa perché mi aveva fatto sorridere. Tra i possibili ingredienti “base” di questo sugo per la pasta ci sono infatti anche 50 ostriche (sic!), da cuocere in padella e poi passare al setaccio! Ma del resto questa è una delle caratteristiche più divertenti del libro, che è costellato di ricette che prevedono l’utilizzo in abbondanza di ingredienti per noi oggi costosissimi o introvabili, come ad esempio quella del Salame di tartaruga (“unite un chilogrammo di tartaruga di mare o di terra…”), quella della frittata di uova di tartaruga (uova di tartaruga: 20) quella della pastina arrosto con i tartufi (tartufi gr. 90), o del sanguinaccio di lontra (però non dice quanto deve pesare la lontra!).
L’anno scorso, dopo aver apprezzato davvero molto il piatto, mi ero ripromessa di provare a fare il sugo di muscoli con la ricetta del libro di Padre Dellepiane di li a poco e invece, complice il fatto che ormai la ricetta era associata ad una serata estiva in riva al mare, ho lasciato passare un anno.
L’originale parla di telline, arselle e ostriche, perché quelli erano i molluschi a disposizione in allora (il libro risale alla metà dell’800). La coltivazione dei muscoli viene infatti introdotta in Liguria solo in epoca successiva (per approfondire vedi il paragrafo dopo la ricetta).
Sono sicura però che se Padre Dellepiane avesse avuto a disposizione dei muscoli li avrebbe certamente inclusi nell’elenco perché il senso di questa ricetta è preparare una pasta dall’intenso sapore di mare.
L’ingrediente insolito e sorprendente di questo sugo, peraltro molto comune nella “Cucina di Strettissimo Magro”, sono i pinoli. Pestati grossolanamente nel mortaio e stemperati con acqua fredda danno infatti vita ad una crema simile al latte – detta appunto “lattata di pinoli” – che dona al sugo cremosità (i pinoli sono ricchi di grassi) e croccantezza (per via dei pezzetti di pinoli).
Nelle foto sopra trovate la ricetta originale. Più avanti quella da me riscritta e leggermente modificata per adeguarla alla cucina dei giorni nostri. Spero che il risultato renda merito al genio indiscusso del suo originale autore, a me è piaciuta moltissimo. Le dosi sono per 4 persone.
Ingredienti
- 2 kg di muscoli (cozze)
- 2 acciughe salate
- 1 spicchio d’aglio
- 1 mazzo di prezzemolo
- 30 g di pinoli
- 8 cucchiai d’olio extravergine d’oliva
- Sale
- 350 g di trenette o altra pasta asciutta lunga
Istruzioni
- Mettete i muscoli, puliti e privati della “barba”, in una casseruola dai bordi alti senza aggiungere nulla, coprite con un coperchio e fate cuocere a fuoco lento fino a quando non si saranno tutti aperti (circa 5 minuti).
- Mettete da parte il brodo che avranno rilasciato.
- Estraete i molluschi dalle conchiglie (tenendo da parte qualche muscolo intero per decorare il piatto – cosa che io mi sono dimenticata di fare…) e tritateli con il mixer (senza ridurli in crema, attenzione) o con la mezzaluna.
- Tritate insieme aglio, acciughe e prezzemolo (tenetene da parte un poco, tritato, per guarnire il piatto) e fate soffriggere il tutto in una padella ampia dove avrete versato l’olio per un paio di minuti e non di più.
- Nel frattempo pestate i pinoli nel mortaio, o tritateli in un mixer (anche se il mortaio è prereferibile) fino ad ottenere una pasta grezza e stemperate con un mestolo di acqua fredda: otterrete la “lattata di pinoli”.
- Aggiungete la lattata di pinoli al soffritto e lasciate cuocere per 5 minuti.
- Versate quindi il brodo rilasciato dai muscoli e i muscoli tritati. Lasciate cuocere a fuoco lento per 5 minuti o fino a quando il sugo non avrà raggiunto la giusta densità. Aggiustare di sale se necessario.
- Fate cuocere le trenette e scolatele al dente. Versatele direttamente nella padella con il sugo e fate saltare per un paio di minuti.
- Servite la pasta con un giro d’olio a crudo, una manciatina di prezzemolo tritato fresco, una grattata di pepe nero e guarnendo i piatti con un paio di muscoli interi a testa.
La tradizione dei muscoli in Liguria
In Liguria i muscoli (cozze nel resto d’Italia) si coltivano con successo nel golfo della Spezia sin dalla fine dell’800 grazie alla morfologia e alle condizioni ambientali favorevoli: profondità dei fondali, correnti sotterranee di acque dolci e soprattutto mancanza di mareggiate,.
Vengono allevati in vivai costituiti da pali piantati sul fondale o da galleggianti collegati tra loro da corde di nylon, tese sotto il livello del moto ondoso, a cui sono annodati i cosiddetti “pergolati” o “reste” su cui crescono i mitili.
Nel corso del ciclo di allevamento (variabile da tredici a quindici mesi) le reti vengono sostituite più volte, utilizzando maglie di dimensioni sempre più grandi opportunamente crescenti.
Trascorsi tre mesi dall’inseminazione e poi, ogni quarantacinque giorni, le reste vengono issate e lasciate alla luce per ventiquattr’ore, in modo da bloccare la formazione di parassiti o di alghe, e vengono eliminati i mitili morti o di dimensioni minori.
Al momento della raccolta i mitilicoltori, a bordo della loro imbarcazione chiamata “schio”, afferrano e issano le corde con i mitili aggrappati e scelgono quelli più grossi.